"Gianni Bergamin parte dalla fotografia. Non dalla realtà in sé, dunque, ma da
una sua particolare icona, selezionata e fissata a priori. È importante questa distinzione, perché il filtro tra il reale acquisito e quello rappresentato diventa doppio, denso, velato fino a
confondere, a mutare dapprima impercettibilmente, infine drasticamente, il fine da raggiungere in un ideale viaggio dentro le cose.
Ora, se la fotografia si può definire una rappresentazione, cioè un duplicato dell’apparenza, ecco
che Bergamin cerca la sua ispirazione in due differenti momenti: quello della scelta dell’inquadratura da fissare nella fotografia e quello successivo della sua elaborazione, esprimendo delle
sensazioni intellettualistiche piuttosto che non emozionali, concettuali insomma, riflesse esse stesse. Sta qui l’esito delle sue composizioni, assai elaborate nella stesura che sovrappone strati di
materia per la definizione finale dell’immagine ed accosta in serie visioni successive per la precisazione ultima del significato. È un “work in progress” che trova pace soltanto negli occhi e nella
mente di chi guarda, quando il messaggio che l’insieme dei fotogrammi ricostruisce estraendolo dal “deposito” che gli viene offerto, scelto (è questo l’intervento che determina la presenza di un
demiurgo capace di superare la mera rappresentazione del reale, in questo caso demandata all’apparecchio fotografico) dall’artista, è identificato ed accettato"
(cit. Gianfranco Schialvino)